29 febbraio 2012

Agnes Grey

La terza sorella Bronte, Anne, da sempre viene oscurata dalla fama delle altre due sorelle; così molti avranno letto Cime tempestose e Jane Eyre, ma pochi conosceranno Agnes Grey. E' un peccato perchè è un romanzo godibile e piacevole; certamente, in confronto ai capolavori delle sorelle, questo è un romanzuccio più banale e meno drammatico: è un romanzo rosa dell'800, ironico e coinvolgente, che assomiglia ad una chiacchierata con un'amica un po' pettegola e un po' acida. Uno stile più simile a Jane Austen, insomma, e anzi, devo dire di preferire Agnes ad alcuni romanzi della Austen.

28 febbraio 2012

Emma

La storia di come ho finito questo libro è pura testardaggine, perchè l'ho iniziato e abbandonato tre volte, pur vedendo da subito come non fosse il "mio" libro, eppure niente, al quarto tentativo l'ho finito, e onestamente non so perchè mi sia fissata così, perchè ora che l'ho finito posso dire: 1- che come avevo immaginato dalle prime pagine, non mi è piaciuto 2- che Emma è odiosa. Tutto il gioco non vale il sollievo di poter commentare con cognizione di causa visto che il romanzo l'ho letto, e tutto.

25 febbraio 2012

"All'ombra delle fanciulle in fiore" - Confini della virtù

 (...)perchè l'abitudine plasma lo stile dello scrittore non meno che il carattere dell'uomo, e l'autore che più volte s'è accontentato di giungere, nell'espressione del pensiero, a un certo grado di piacevolezza segna per sempre, in tal modo, i limiti del proprio talento, così come, cedendo sovente alla voluttà, alla pigrizia, alla paura di soffrire, tracciamo noi stessi, su un carattere dove alla fine ogni ritocco sarà impossibile, il contorno dei nostri vizi e i confini della nostra virtù. [pg. 157]

23 febbraio 2012

Ultime letture


Sono un po' in panne con la lettura: mi capita quando incappo in una serie di libri che mi dicono poco o nulla.
Il mulino sulla Floss l'avevo cominciato tempo fa, ma la storia di questa Maggie  non mi aveva presa. Proprio la bambina in sé mi sembrava fastidiosa: il buonismo da romanzo, l'intelligenza vivace che, naturalmente, essendo donna, è più un problema che un pregio. Saranno state tematiche interessanti nell'800, oggi sa un po' di stereotipo sentimental-lacrimevole (cito a memoria: "le donne intelligenti sono come le pecore con la coda lunga, non per questo valgono di più" bof, la Eliot doveva parecchio avercela con un certo entourage maschile).

21 febbraio 2012

Il falò delle vanità

Successo degli anni '80, è interessante leggere questo romanzo ad un trentennio di distanza, quando, purtroppo, gli effetti di tutti i problemi del sistema economico sono saliti agli onori della cronaca.
Sherman McCoy è un uomo "di successo": ha una moglie (rinsecchita come detta la moda), una figlia, vende obbligazioni guadagnando un milione di dollari l'anno e vive in una casa da sogno in Park Avenue.
Come nelle migliori parabole, però, è inconsapevolmente infelice. Vive in ufficio, la moglie esprime tutta la vacuità di cui è sotto sotto terrorizzato. Conseguenza più banale: ha l'amante, una giovane italiana sposata ad un 71enne milionario.

18 febbraio 2012

L'agente segreto


Diciamo che da un romanzo che si intitola "L'agente segreto" sarebbe lecito aspettarsi una trama con intrighi, strategia, azione, e non so, tutti i luoghi comuni alla 007, mentre la speranza si aggira svagatamente su ipotetici contorni di un protagonista fascinoso coraggioso e molto sicuro di sè. Ecco, aspettative da film hollywoodiano. Il romanzo si apre con la presentazione di tale signor Verloc che, sic, è un ometto grasso, annoiato e pigro, molto pigro. Lui è l'agente segreto. Lungi da emozionanti sparatorie e inseguimenti, il signor Verloc ha il noiosissimo compito di sorvegliare il patetico gruppo di anarchici locali, gente più idealista che combattiva e anche questi molto, molto pigri. La sua attività di copertura è un tristissimo negozietto di roba inutile. Una vita quanto mai grigia, insomma. Il signor Verloc, però, non ne è troppo disturbato: è semplicemente troppo inerte per avere superiori aspettative. Compila lunghi resoconti burocratici sulla sua grigia attività, sapendo così di guadagnarsi lo stipendio, calibrando al minimo sindacale l'impegno lavorativo.

16 febbraio 2012

La crisi - Albert Einstein

Non pretendiamo che le cose cambino, se facciamo sempre la stessa cosa. La crisi è la migliore benedizione che può arrivare a persone e Paesi, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dalle difficoltà nello stesso modo che il giorno nasce dalla notte oscura. E’ dalla crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i propri insuccessi e disagi, inibisce il proprio talento e ha più rispetto dei problemi che delle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. La convenienza delle persone e dei Paesi è di trovare soluzioni e vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide, e senza sfida la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. E’ dalla crisi che affiora il meglio di ciascuno, poiché senza crisi ogni vento è una carezza. Parlare della crisi significa promuoverla e non nominarla vuol dire esaltare il conformismo. Invece di ciò dobbiamo lavorare duro. Terminiamo definitivamente con l’ unica crisi che ci minaccia, cioè la tragedia di non voler lottare per superarla. Albert Einstein

Revolutionary Road


Bel romanzo, di quelli forti, introspettivi, che ti catapultano nella realtà che raccontano. Le questioni affrontate girano attorno al problema del benessere, dell'ipocrisia, della mediocrità e del conformismo. Una giovane coppia americana incarna la medio borghesia: villetta fuori città, immaturità nascosta da un superficiale strato di conformista rispettabilità, due bimbi, giardino, velleità artistiche di lei, lui lavoro noioso ma che dà da mangiare, amicizie poche e che non impegnino. Spunti culturali, vivacità mentale, capacità d'iniziativa assenti. Una lieve depressione li avvolge, trovano conforto criticando ciò che li circonda, pur sapendo che se li avvolge il nulla, è perchè lo incarnano anche loro:

14 febbraio 2012

La libreria del buon romanzo

Questo è uno di quei titoli che strizza l'occhio a tutti i bibliofili. Tirando le somme, non è un brutto romanzo. Il vero peccato è che i protagonisti ricercano la bellezza nella letteratura, e la degustano come un vino pregiato; nel frattempo, non ricercano la medesima bellezza nella vita reale, e conducono vite tristi, solitarie e frustrate. Le bellezza letteraria, così, appare come un triste compromesso; l'amore per la letteratura, che questo romanzo dovrebbe celebrare e amplificare, rimane avvolto da un senso indefinito di incompletezza e insoddisfazione.

11 febbraio 2012

The iron lady

Cura i tuoi pensieri, diventeranno le tue parole.
Cura le tue parole, diventeranno le tue azioni.
Cura le tue azioni, diventeranno le tue abitudini.
Cura le tue abitudini, diventeranno il tuo carattere.
Cura il tuo carattere, diventerà il tuo destino.
Quello che pensiamo diventiamo.

10 febbraio 2012

"All'ombra delle fanciulle in fiore" - La posterità dell'opera

 Del resto, il tempo che occorre ad un individuo - come occorse a me con quella Sonata - per penetrare un'opera un po' più profonda, è il semplice compendio e come il simbolo degli anni, dei secoli a volte, che trascorrono prima che il pubblico possa amare un capolavoro veramente nuovo. E così, per risparmiarsi le incomprensioni della folla, l'uomo di genio si dice che forse, dal momento che i contemporanei mancano del necessario distacco, le opere scritte per la posterità dovrebbero esser lette solo da quest'ultima, come certi dipinti non si possono giudicare bene osservandoli troppo da vicino. Ma, in realtà, ogni vile precauzione per evitare i falsi giudizi è inutile, essi non sono evitabili. A far sì che difficilmente un'opera geniale sia ammirata con sollecitudine, è la circostanza che chi l'ha scritta è straordinario, che pochi gli assomigliano. Ed è proprio la sua opera che, fecondando i rari spiriti capaci di comprenderla, li farà crescere e moltiplicarsi. Sono stati i quartetti di Beethoven (i quartetti n° 12,13,14,15) a far nascere, a infoltire, in cinquant'anni, il pubblico dei quartetti di Beethoven, realizzando in tal modo, come ogni capolavoro, un progresso, se non nel valore degli artisti, almeno nella società degli spiriti largamente composta oggi di qualcosa ch'era introvabile quando il capolavoro apparve, vale a dire di essere capaci di amarlo. Quella che noi chiamiamo posterità, è la posterità dell'opera. [pg. 126]

9 febbraio 2012

Il nostro comune amico

L'aspetto del povero Sloppy era piuttosto goffo: troppo lungo, troppo stretto, troppo angoloso. Uno di quegli esemplari di sesso maschile, dinoccolati, nati per rivelare con indiscreto candore i propri bottoni; infatti tutti quanti i bottoni che aveva sparsi su di sé fissavano il pubblico con innaturale intensità. Sloppy possedeva un capitale ingente di gomiti, ginocchia, polsi e caviglie, che, non sapendo come impiegare vantaggiosamente, investiva in azioni sbagliate, trovandosi quindi sempre in situazioni difficili. Sloppy era, insomma, un fantaccino scelto nella scomoda schiera di coloro che nella vita rappresentano la truppa; tuttavia era vagamente risoluto, a modo suo, a rimanere fedele alla bandiera.

7 febbraio 2012

Bicentenario di Charles Dickens

Nel 2012, e in particolare oggi 7 febbraio, il mondo ricorda Charles Dickens, nell'occasione del bicentenario della sua nascita. Non che serva, ricordare Dickens: magari in Italia andrebbe riscoperto un po' di più, ma è un autore che mai è stato dimenticato. Basta prendere in mano uno dei suoi romanzi e rimanere coinvolti nelle sue intricatissime e meravigliose storie, far la conoscenza di alcuni dei suoi vivissimi personaggi. Io sono di parte, sono un' appassionata lettrice dickensiana: ho iniziato con “Grandi speranze”, che adorai, poi proseguii con “David Copperfield”, che a tutt'oggi non solo è il mio Dickens preferito, ma il libro che amo di più in assoluto.

6 febbraio 2012

Il ritratto di Dorian Gray e Oscar Wilde

Con Oscar Wilde ho un rapporto conflittuale. A scuola lo odiavo ardentemente. Avevo una professoressa di italiano, una minuscola donna alta un metro e un barattolo con un caschetto biondo scolpito. Usava coprirsi di un fitto drappo tintinnante di bracciali, catene, collane, anelli, cinture, spille; tutto d'oro. Nell'insieme sembrava un bizzarro effetto luminoso e sonoro. Quando correggeva i compiti alla cattedra, riuscivamo a indovinare il voto dal tintinnio degli ammennicoli: più forte era il rumore, più basso il voto. Comunque, questa professoressa ci fece comprare i racconti di Oscar Wilde, e ricordo queste tremende lezioni d'antologia impiegate a leggere quei racconti che trovavo odiosi. Artefatti nelle descrizioni: tutto in Wilde è “color malva”, tutto sembra un fiore, tutto è così leziosamente carino e rosato. Io il Principe felice, o il maledetto usignolo e la rosa, non li ho mai potuti soffrire. Da piccola, poi, dell'estetica, me ne poteva fregare tanto così. E Wilde è tutta estetica. Arrivammo poi ad un racconto che non era  né carino né rosato, era un racconto su dei pescatori di perle in cui alla fine un pescatore va in acqua con della cera nelle orecchie e muore. Questo racconto mi orripilò a tal punto che me lo ricordo ancora, in particolare il fatto della cera nelle orecchie,  e decretai che Wilde non mi piaceva né quando è lezioso, né quando è mostruoso, sapendo egli essere entrambe le cose senza mezze misure.

4 febbraio 2012

Vita immaginaria

Chi scrive sa che dovrà scegliere fra l'ordine e il disordine. Oggi noi di solito scegliamo il disordine. L'impulso a costruire e architettare in ordine e in armonia con noi stessi e con gli altri sembra scomparso dal mondo. Abbiamo perduto le forze e ci sentiamo sopraffatti e infelici. Ci sentiamo vittime e le vittime non costruiscono. I romanzi che oggi scriviamo, sempre o quasi sempre, sono scritti nel disordine e in un lungo sfogo di lagrime. A volte qualcuno, fra le lagrime, afferra del mondo circostante qualche lembo reale. Non ha compagni o non li vede intorno a sé e non indirizza la sua angoscia ad anima vivente. Tutt'al più chiede un poco di attenzione ai rari passanti che si soffermano per un attimo e vanno oltre. [pg. 39]

2 febbraio 2012

Jezabel

Questo Jezabel è un romanzo estremamente femminile. La protagonista è Gladys, donna bella e superficiale ossessionata dalla bellezza e dalla gioventù. Il romanzo si apre alla fine della vicenda: Gladys è imputata in un processo che la vede assassina di un giovane uomo. Questa parte del romanzo è molto coinvolgente: si assiste in presa diretta all'udienza in tribunale: la bella Gladys non fa nulla per discolparsi, ma non fornisce neanche reali spiegazioni del suo gesto. Una folla di testimoni si avvicenda ma senza informazioni rilevanti. E così la Némirovsky torna indietro, e ci mostra chi è quella Gladys, quella bella donna che si torce le dita sul banco degli imputati.

Tess dei D'Urberville

Tess capiva che la partecipazione del mondo alla sua vicenda, motivo per cui s'era umiliata così profondamente, si basava su un'illusione. Aveva vissuto un'esistenza, una passione, un'esperienza, un complesso di sensazioni che appartenevano a lei sola e non ad altri. Per l'umanità era solamente un pensiero fuggevole. Persino per gli amici non era che un pensiero fuggevole. Se si fosse disperata giorno e notte, si sarebbero limitati ad esclamare: "Ah, povera infelice!"... E ancora, sola in un'isola deserta, si sarebbe angustiata per quella circostanza? Non molto. Se fosse stata creata proprio in quel momento, scoprendosi madre, senza sposo, con un'unica esperienza nella vita, quella di genitrice di un figlio senza nome, sarebbe bastato per gettarla nella disperazione? No, avrebbe considerato tranquillamente quella realtà trovandovi gioia. Le pene maggiori erano dovute all'osservanza delle convenzioni e non a sensazioni naturali. [pg. 124]
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