13 febbraio 2013

Il segno rosso del coraggio ***


Il tema della paura, e quindi, della crescita, affrontato attraverso gli occhi di un giovane che va alla guerra, costretto quindi a disfarsi dei protettivi abiti infantili per vestire quelli dell'adulto. Crane, ventiquattrenne quando scrisse questo breve romanzo, ci mostra come questo passaggio non possa essere indolore. In una spirale di dubbio, terrore, incertezza, il giovane soldato si interroga sulle sue capacità e sulla sua possibilità di sopravvivenza, confrontandosi con la solitudine e il rischio, concreto, della morte. Metafora della vita in generale, il pezzo più bello del libro è senz'altro il finale, quando di fronte alla tanto temuta azione il giovane riesce finalmente a staccarsi dagli spettri angosciosi della sua mente, ad agire, e a sopravvivere.

“Era emerso dalle sue lotte con un'ampia simpatia per la macchina dell'universo. Coi suoi nuovi occhi, riuscì a vedere che i colpi segreti e palesi che venivano assestati per il mondo con tale abbondanza, erano in verità benedizioni. Era una divinità quella che gli stava attorno con il randello della correzione. Il suo irritante vociare contro quelle cose s'era chetato una volta che la tempesta era cessata. Non si sarebbe più rizzato su luoghi elevati e falsi ad accusare i pianeti lontani. Vide che, di fronte al sole, egli era sì minuscolo ma non irrilevante. Nello sconfinato turbinio degli eventi, un granello come lui non sarebbe andato perduto.

Con tale convinzione giunse una carica di fiducia. Sentì in sé una tranquilla virilità, non aggressiva ma di sangue forte e robusto. Capì che non avrebbe più avuto paura dinanzi alle sue guide, ovunque quelle indicassero d'andare. Era stato a contatto della grande morte e aveva scoperto che, dopo tutto, non era che la grande morte, ed era per gli altri. Era un uomo.”
"Il segno rosso del coraggio" Stephen Crane
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5 febbraio 2013

Le porte della percezione / Paradiso e Inferno ****


Saggio lineare, questo di Huxley, che va letto così com'è, ovvero come la relazione delle sensazioni dopo l'assunzione di mescalina.
Volendo -forzosamente- ampliare lo spazio di lettura, diventa un testo pericoloso: si può leggere sia un incitamento all'uso delle droghe (soprattutto quando Huxley dice che l'uomo ha necessità di uscire da sé), sia l'idea che le droghe siano l'accesso verso paralleli mistici che solo la cecità del vivere sobri ci impedisce di vedere. Entrambe queste interpretazioni sono state avanzate; il saggio è del '53, e fu naturalmente ampiamente strumentalizzato nelle riforme sociali dei decenni a venire. Huxley era un pioniere, nonché un uomo che si è costruito per addizione, mai per negazione. Va da sé che anche nell'interesse per le droghe sia arrivato un decennio prima del mondo. Il suo saggio coniuga straordinaria lucidità descrittiva, un innato dono narrativo e le osservazioni di un uomo di straordinaria cultura. Molto interessanti i confronti del suo atteggiamento mentale sotto mescalina con le opere d'arte di alcuni grandi artisti e le riflessioni sulla schizofrenia. Inevitabili anche i rimandi alle religioni e alla meditazione.
Il secondo saggio, Paradiso e Inferno, abbandona la dimensione puramente soggettiva del primo saggio per dedicarsi a riflessioni più ampie e meno focalizzate, toccando diversi temi in ambito artistico, antropologico e psicologico. La reazione dell'uomo di fronte alla totalità della visione sotto effetto di droghe può essere infatti sia la breccia verso un mondo paradisiaco, che l'accesso a un mondo infernale: ciò dipende in gran parte dallo stato psicofisico dell'individuo. E' un saggio, in definitiva, meno incisivo del primo. Le appendici sono assai interessanti.

"Le porte della percezione - Paradiso e Inferno" Aldous Huxley 
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