28 novembre 2014

Modello standard per la riscossione di depositi cauzionali

Per la praticità di chi, come la sottoscritta, deve ricevere da un bel po' di tempo il deposito cauzionale delle utenze domestiche offro di seguito la comunicazione che ho inviato agli uffici dell'acqua (sospetto che le scuse che usano per giustificarsi siano sempre le stesse).

Buonasera,
avendo constatato, a seguito del nostro breve scambio di email del _______, che tutte le ipotesi più fosche si sono realizzate e che, quindi, in uno sfortunatissimo crescendo eventi:
1- l'assegno per rimborsarmi il deposito cauzionale è stato spedito all'indirizzo vecchio, non prendendo in considerazione la comunicazione dell'indirizzo nuovo;
2- il postino ha deliberatamente rimandato al mittente l'assegno, nonostante sulla cassetta delle lettere fosse ancora presente il mio nome e il luogo fosse presidiato, prova ne è che ho più volte ritirato la posta senza problemi (sì, anche altri assegni);
3- nel viaggio a ritroso verso il mittente l'assegno è stato perduto.
Visto che l'assegno, in data odierna, è scaduto -a quanto mi dite- da un mese e ancora non ho ricevuto quello nuovo, non vorrei che altri eventi fossero andati storti o che un tarlo avesse distrutto le vostre scorte di carta e quindi, per interrompere questa sciagurata catena di eventi che dura ormai da un anno
CHIEDO
di inviarmi entro 10 giorni l' assegno all'indirizzo che di seguito vi riscrivo per rendervi le cose il più comprensibili possibili:
_________
_________
_________

Scaduti i 10 giorni -nonostante le possibili invasioni di cavallette e le nuove norme del patto di stabilità che vi vieteranno di rifondere i depositi cauzionali a chi ha il cognome che inizia con la (inserire l'iniziale del vostro cognome)- se non avrò ricevuto l'assegno mi rivolgerò ad una associazione di consumatori.

Cordialità,
____________

13 aprile 2014

La felicità al di là della religione - Una nuova etica per il mondo

"Se vista alla luce dell'esistenza dell'intero cosmo, la vita umana è davvero qualcosa di minuscolo. Ogni perdone che viene al mondo ne è soltanto ospite, per un breve periodo.
Cosa c'è quindi di più sciocco che trascorrere questo fugace intervallo di tempo da soli, infelici e in conflitto con gli altri visitatori temporanei della terra? Sono sicuro che sia molto meglio servirci del poco tempo a nostra disposizione per costruirci una vita significativa, arricchita da un senso di connessione con il prossimo e dedicata al servizio degli altri." Pg.. 217
"La felicità al di là della religione - Una nuova etica per il mondo" Dalai Lama, Sperling  & Kupfer

2 aprile 2014

Il mio cuore è più stanco della mia voce

Discorsi tenuti dalla Fallaci nelle università. Il tema è pressochè unico: scrittura e politica; pensati per un pubblico sempre diverso, diventano ripetitivi così proposti uno dietro l'altro. Non aggiunge molto a chi ha già letto le interviste e i romanzi della Fallaci.
***/5
"Il mio cuore è più stanco della mia voce" Oriana Fallaci, Rizzoli



20 febbraio 2014

Storia d'inverno - La giustizia

"E chi ha detto" sbottò Isaac Penn "che tu, semplice uomo, possa percepire la giustizia? Chi ha detto che la giustizia sia ciò che immagini tu? Puoi esser sicuro di riconoscerla quando la vedi, o che vivrai tanto a lungo da riconoscere il tuono decisivo della sua comparsa, che possa rendersi manifesta nel giro di una generazione, di dieci generazioni, dell'intero arco dell'esistenza umana? Ciò di cui parli tu è il buon senso, non la giustizia. La giustizia è qualcosa di più elevato e di più ardua comprensione, finchè non si manifesterà in tutto il suo inequivocabile splendore. Il disegno cui alludo io supera di gran lunga la nostra comprensione. Ma a volte riusciamo ad avvertirne la presenza.
"Non c'è coreografo, o architetto, o ingegnere, o pittore che saprebbe progettare qualcosa di più completo o più sottile. Ogni azione e ogni scena hanno un loro scopo preciso. E meno potere un individuo possiede, più vicino è alle grandi onde che investono tutte le cose, preparandole pazientemente all'approccio di un futuro contraddistinto non già da semplice equità umana, cosa che potrebbe immaginarsi anche un bambino, bensì da luminose e sorprendenti connessioni che noi neppure ci figuriamo, da esempi terrificanti e benevoli: un'età dell'oro che manifesterà non ciò che desideriamo ma una qualche nuda, goffa verità sulla quale poggia tutto ciò che è stato e tutto ciò che mai sarà. Esiste giustizia nel mondo, Peter Lake, ma non la si può ottenere senza mistero. Noi tentiamo di applicarla senza sapere esattamente cosa sia, e ci limitiamo a sfiorarla. Non importa, perchè tutte le fiamme e le scintille della giustizia guizzano attraverso il tempo a infondere vita ed energie in ere invisibili [...]" pg. 195
"Storia d'inverno" Mark Helprin, trad. di Adriana Dell'Orto, Neri Pozza

2 giugno 2013

Vita da commessa - Le relazioni pericolose

    - Scusi signorina, i calzini da ragazza?
    - Eccoli (indicando l'enorme cesta a 2 cm e prendendone un paio in mano)
    - No, quelli non vanno bene... sono per una ragazza... povera ragazza!
    - Mmm, allora questi? (ne prendo a caso un altro paio)
    - No, più colorati! Più allegri! Povera ragazza! Così giovane, almeno deve avere i vestiti allegri!
    (decidendo di non indagare, vista l'abituale afflizione di richieste di calzini da ospedale, pantaloni da ospedale, magliette da ospedale, reggiseni da ospedale, mutande da ospedale, dando ad intendere l'esistenza di un intero mondo della moda pensato e creato appositamente per il ricovero) - Questi?
    - Sì,questi possono andare... ma questo blu... un pochino più chiaro, proprio non ce l'ha? Povera! E' così giovane! Ha solo 20 anni!
    Non facendocela più: - Ma non sta bene?
    - No, povera ragazza! S'è sposata!
    Ridendo: - Ah, pensavo peggio!
    Guardandomi negli occhi, espressione serissima: - Signorina, lei è giovane e non si rende conto. Io ho 62 anni, e lo so!
    Va alla cassa coi calzini.

23 maggio 2013

Acido solforico ***


Romain Gary era un prigioniero in un campo tedesco durante la seconda guerra mondiale. Le condizioni di sopravvivenza erano disumane. Nel suo campo maschile , Gary vedeva i detenuti trasformarsi, come lui stesso, in poveri selvaggi, bestie sofferenti. I loro pensieri erano una tragedia peggiore di quello che sopportavano. E il tormento maggiore era di averne piena consapevolezza. Continuamente umiliati in quell'esigua traccia di umanità rimasta loro, l'unica aspirazione era la morte. Fino al giorno in cui uno ebbe un'idea geniale: inventò il personaggio della dama.
Stabilì che da quel momento in poi avrebbero vissuto tutti come se tra di loro ci fosse una dama, una vera dama, alla quale si sarebbero rivolti con tutti gli onori dovuti a una persona di rango elevato al cospetto della quale si teme di scadere. Tutti accettarono questa costruzione fantastica. E cosi fecero. Poco a poco, si resero conto di essere salvi: a forza di vivere nella nobile compagnia della dama immaginaria, avevano ripristinato la civiltà. Durante i pasti ricominciarono a parlare, o meglio a conversare, a dialogare, ad ascoltare gli altri con attenzione. Ci si rivolgeva alla dama con riguardo per raccontarle cose degne di lei. E anche quando si taceva, si coltivava l'abitudine di vivere sotto i suoi occhi, di avere un atteggiamento che non avrebbe offeso un simile sguardo. Quel nuovo fervore non sfuggì ai Kapò che avevano sentito delle voci sulla presenza di una dama, e cominciarono a indagare. Perquisirono il campo da cima a fondo e non trovarono nessuno. Questa vittoria della mente sostenne i prigionieri fino alla fine.
Angosciante romanzo che tratta di diversi temi interessanti, purtroppo nessuno ben approfondito. Sulle fondamenta di un'idea del genere umano decisamente pessimista, la Nothomb pone personaggi che con la pancia vuota dialogano di filosofia e si danno del lei. Come spesso mi capita con la Nothomb, non capisco se questa contraddizione sia voluta o meno. Di base, l'ispirazione del romanzo è l'esperienza di Romain Gary, cui si fa cenno e che ho riportato sopra, solo che in Acido Solforico la dama è reale, è una ragazza di nome Pannonique.
Le chiavi di lettura possono essere tante: la passività, la cattiveria dell'uomo, una critica del sistema televisivo... tutti temi già ampiamente trattati e a cui questo breve romanzo non aggiunge niente. Il punto di riflessione che ho trovato di maggior interesse è lo sforzo cosciente che fa Pannonique per educarsi all'amore e al rispetto. La sua non è una predisposizione innata ma, in un ambiente come un campo di concentramento in cui ci si specchia col lato più bestiale dell'uomo, urgono delle riflessioni sulla spiritualità e su Dio, ed in risposta emerge la necessità di fare personalmente quel che viene considerato divino: amare. Non sempre questo è facile, ed è proprio quando questo sembra impossibile - come con la vecchia - che ci si scontra con i limiti umani e si ha la possibilità di superarli.
La crescita interiore di Pannonique si riflette naturalmente negli altri prigionieri, a cui infonde un senso di serenità, coraggio e dignità. Più in generale, il tema della forma è ricorrente ed importante: l'educazione, la responsabilità personale, la morale, il rispetto - anche in semplici gesti, come il darsi del lei, sono le caratteristiche che ci distinguono dalle bestie.
Tutto ciò è trattato, purtroppo, in modo molto frettoloso; i personaggi stessi, al di là della protagonista, sono macchiette omogenee scarsamente caratterizzate.

"Acido solforico" Amélie Nothomb, trad. M. Capuani
***/5


20 maggio 2013

Inferno ***


Ma che porte in ferro resistenti ai proiettili hanno nei reparti dell'ospedale di Firenze???
(spoiler!) -----------------------
Thriller bizzarro in cui:
-il cattivo sembra non abbia tutti i torti
-l'eroe passa tutto il libro a cercare di ricordare ciò che aveva già capito, quelli che lo accompagnano lo assecondano e lo trattano da Wikipedia umana
-i cattivi si viene a scoprire che sono buoni
-i buoni si viene a scoprire che sono cattivi...
-… ma solo per un attimo, perchè poi sono buoni anche loro...
- ...infatti hanno tutti lo stesso obiettivo ma non lo sanno (parlatevi, prima di cercare d'ammazzarvi) e si impicciano a vicenda per tutto il romanzo salvo diventare amiconi alla fine.
Il finale è tipicamente meyeriano, ovvero, per le menti superiori che non si sono piegate alla lettura di Breaking Dawn, finale eccheccazzo, tutto-sto-casino-per-niente. Perchè, va be', sarò cinica io, ma fra morire di peste e diventare sterile che diamine preferisco di gran lunga la seconda.
Bellissimo spot per l'Italia.

"Inferno" Dan Brown
***/5


4 maggio 2013

Campagna per l'adozione di un Wodehouse abbandonato vicino a "Cinquanta sfumature di grigio"


Ci sono giorni in cui mi autoprescrivo Wodehouse.
Questo libro mi è capitato fra le mani in una libreria in cui avevo chiesto la serie di Jeeves e mi era stato risposto che l'avevano recentemente rimandata indietro perchè non la vendevano ('gnurant...). Invece qualche giorno fa stavo giusto gironzolando per la predetta libreria alla ricerca di qualcosa per tirarmi su l'umore e ho visto un volumetto solitario, questo "La vita è strana, Jeeves", poggiato alla rinfusa (!) a fianco ad una pila di "Cinquanta sfumature di grigio" (!!). Comprare il volumetto è stato più un atto di salvataggio che una scelta vera e propria. Quando a casa mi sono resa conto che erano racconti ci sono rimasta maluccio - ho un vago preconcetto nei confronti dei racconti - e invece devo dire che Wodehouse è Wodehouse e anzi, la forma breve si presta benissimo alle gesta di Bertie e Jeeves, che si basano su strutture sempre simili e ripetizioni degli stereotipi dei personaggi. Una tiratina d'orecchie al traduttore che ha lasciato in inglese il "Milady's boudoir" quando in altre edizioni "Il salottino di Milady" mi sembrava immensamente più faceto.

<...Ma non voglio farle perdere tempo: già che è qui, può dare un'occhiata anche al mio ginocchio>.
<Al suo ginocchio?>.
Io sono favorevolissimo alle ginocchia, ma al momento giusto e nel posto giusto, come si dice, e questo non mi pareva il momento. Lei proseguì imperterrita.
<Che ne pensa di questo ginocchio?>, chiese, sollevando i sette veli.
Be', naturalmente si deve essere cortesi.
<Fantastico!>, dissi.
<Mi creda se le dico che talvolta mi fa molto male>.
<Davvero?>.
<Un dolore lancinante. Va e viene. E le dirò una cosa buffa>.
<Cosa?>, domandai, sentendo di aver bisogno di una bella risata.
<Ultimamente ho sentito lo stesso dolore proprio qui, in fondo alla spina dorsale>.
<Sul serio?>.
<Sì. Come aghi roventi. Vorrei che lo esaminasse>.
<La sua spina dorsale?>.
<Sì>.
Scossi il capo. Nessuno più di me ama un po' di baldoria e di cameratismo bohémien e animare una festa. Ma c'è un limite, e noi Wooster sappiamo dove fermarci.
<Non si può>, dissi austeramente. <Non la spina dorsale. Le ginocchia sì. La spina dorsale, no>.
Sembrò sorpresa.
<Be', devo dire che è uno strano tipo di dottore>.
Io sono piuttosto perspicace, come ho detto prima, e cominciai a capire che doveva esserci una specie di malinteso.


"La vita è strana, Jeeves" P.G. Wodehouse, trad. Tracy Lord, Polillo
4/5

29 aprile 2013

Chéri ****


Un romanzo di noia, bellezza e ricchezza: una sviolinata caustica (ma non troppo) verso la vacuità del bel vivere e l'amoralità del lusso. Un romanzo leggero ma diligente, senza particolari guizzi né cadute. Nessun personaggio risulta particolarmente simpatico, tutti sono avvolti dalla noia e per proteggersene si rifugiano in vuote trame amorose (mai romantiche, troppa profondità sentimentale) e in una ricerca estetica esagerata e ossessiva. Aldous Huxley diceva che i problemi d'amore sono l'argomento di chi non ha problemi. Niente di nuovo sotto al sole, insomma: niente che nessuno non possa considerare d'attualità (il romanzo è, invece, del 1920).
Riunirei davanti a un caffè Chéri e il pirla di Bel-Ami e gli presenterei Emma Bovary, in una simpatica riunione fra gente affaccendata, matura e d'animo generoso. Sicuramente non rischiano di perdersi in una eccessiva ilarità.
"Chéri" Colette
****/5

22 aprile 2013

Apocalisse

L'uomo desidera il suo compimento fisico prima di ogni altra cosa, perchè ora e per l'unica volta è nella carne e ne ha la possibilità. Dal momento che per l'uomo la massima meraviglia è di essere vivo. Per l'uomo, come per il fiore, il quadrupede, l'uccello, il supremo trionfo consiste nell'essere vivo, il più possibile, perfettamente vivo. Quali che siano le conoscenze di quelli che non sono nati e di quelli che sono morti, essi non possono conoscere la bellezza di sentirsi davvero vivi nella carne. I morti possono preoccuparsi dell'aldilà, ma il meraviglioso "qui e ora" della vita nella carne appartiene a noi, soltanto a noi, per un tempo limitato. Io sono una parte del sole come il mio occhio è una parte di me. Che io sia una parte della terra lo sanno più che bene i miei piedi, il mio sangue è una parte del mare. La mia anima sa che sono una parte della razza umana, la mia anima è una parte organica della grande anima dell'umanità, il mio spirito una parte della mia nazione. Nel mio io sono una parte della mia famiglia. Nulla vi è in me che sia staccato e assoluto, tranne la mia mente, e noi dobbiamo riconoscere che la mente non esiste di per sé, ma è solo una scintilla di sole sulla superficie delle acque. 
Così, il mio individualismo è in realtà un'illusione. Io sono una parte del tutto e non posso evitarlo. Però sono in grado di rinnegare i legami che ho con esso, romperli, diventare un frammento. Allora eccomi diventato un miserabile.
Quello di cui necessitiamo è distruggere i nostri falsi inorganici legami, soprattutto quelli che si riferiscono al denaro, e ristabilire organiche viventi connessioni fra noi e il cosmo, con il sole, con la terra, l'umanità, la nazione, la famiglia. 
Cominciamo con il sole: il resto pian piano verrà.

"Apocalisse" D.H. Lawrence, trad. Walter Mauro, Newton & Compton

7 aprile 2013

Tecniche di metazione tibetana ****

Quello che mi piace di più quando leggo questi libri sulla meditazione e, in generale, sul buddhismo, è la finestra che si spalanca su un mondo che c'è ma che nella nostra realtà quotidiana fatta di lavoro, traffico, problemi di soldi, tasse e politica, e non essendo solitamente educati a queste pratiche introspettive, sembra utopico. Voglio dire, quest'uomo qui che ha scritto questo libro è stato 4 anni in ritiro sull'Himalaya. Non è mica del 1400, è del '52, nato in Germania. Rende bene l'idea dell'infinità di cose che si possono fare in una vita.
Del libro, il libro è scritto in termini molto colloquiali e alla mano, non è affatto avulso dal mondo occidentale, che l'autore conosce bene, e si concentra su una meditazione "spiccia" , che possa praticarsi parallelamente ad uno stile di vita "normale" e che punta sul sedersi, sull'osservazione della mente, con l'obiettivo di spostare il proprio baricentro dalle ipertrofiche aspettative virtuali sociali all'"essere", semplicemente. Che tanto semplice non è.

"Tecniche di meditazione tibetana"  Ngakpa Chogyam, Astrolabio Ubaldini Edizioni
****/5

9 marzo 2013

Una cosa divertente che non farò mai più ****


E' un classico che quelle situazioni che "devono" essere divertenti si rivelino invece tali solo superficialmente, nascondendo un nocciolo di tristezza e melanconia. Le crociere non fanno eccezioni, anzi rappresentano, secondo la descrizione di David Foster Wallace, il non plus ultra di questo paradigma. Forse per l'enorme massa di persone, più simile ad un gregge che ad un gruppo di gente pensante - pensante, no di certo, visto che in crociera viene espressamente chiesto alla gente di non pensare a nulla; forse per l'artefatto senso di isolamento e alienazione dal mondo. Fatto sta, a cavallo fra ironia e una strisciante tristezza, da questo breve reportage si evince che sì, la crociera riesce a trasportarti in un revertigo di passività fetale, moti ondulatori acquatici compresi, con camerieri che si prendono cura di te come forse neanche tua madre ha mai fatto, e in modo inquietantemente vicino allo stalking.
La spensieratezza è di certo messa a dura prova dall'anima melanconica di Wallace, ma è impossibile non condividere le sue riflessioni sull'infantilismo implicito nel considerare il relax lo stacco totale del cervello (non dallo stress, ma da qualsiasi ragionamento più profondo del: mi faccio un bagno in piscina o una sauna? o addirittura del: cosa faccio oggi? in crociera è tutto già prestabilito, è tutto già deciso, è tutto già preparato) e un asservimento imbarazzante. In pratica per divertimento si intende passività ultrastimolata. Alla faccia del concetto di Libertà, paghiamo per entrare in un gregge. Ultima beffa è che in capo a tre giorni di trattamento fetale è nella nostra natura considerarci insoddisfatti e defraudati se la cameriera non riempie il cesto di frutta nella cabina tre volte al giorno. Urge riflessione sul perchè non siamo neanche in grado di capire cosa ci diverte e ci soddisfa.
Pensiero costante che accompagnava la lettura: Tolstoj che scuote la testa schifato.

"Una cosa divertente che non farò mai più" David Foster Wallace, Minimun Fax
****/5

8 marzo 2013

Se niente importa. Perchè mangiamo gli animali? ***



Essendo già vegetariana, non ho letto questo libro per convincermi di qualcosa. Immagino tuttavia che molti lo abbiano fatto per la curiosità di sentire "l'altra campana", le ragioni di coloro che non mangiano la carne. Ecco, in questo senso, non so se può risultare utile, forse sì. Può darsi che in giro ci sia qualcuno che non ha mai pensato alla sofferenza degli animali, o a come sono organizzati gli allevamenti intensivi. Mi pare strano ma può darsi. In questo senso, diventa un libro divulgativo e può essere utile. Divulgativo di verità orribili e che nessuno può definire "piacevole" leggere, ma utile a piantare nuove idee in una mente vergine. Ma quante sono queste persone che mai si sono interrogate sull'origine del  petto di pollo al limone che hanno nel piatto? Ben poche, suppongo. La maggior parte dei carnivori sa benissimo da dove viene il petto di pollo, probabilmente ha già sentito descrizioni orribili sull'allevamento dei polli, ma ha deciso di ignorarle e di proseguire per la sua strada. Ecco, in questo caso, questo libro è inutile, perchè insieme alle descrizioni delle pratiche di allevamento, pesca e macellazione, non manca una dose di condanna che raggiunge un livello così ampio da essere scarsamente costruttiva, che ti spinge a dire: va be', carne, no; pesce, no; ma no anche le uova, il latte, il formaggio... e allora, se tutto è una merda, che ci posso fare io? (che è poi il ragionamento che già fanno molti carnivori).
Infine, se si è già vegetariani, e magari come me si è sempre evitato di entrare nei dettagli disumani degli allevamenti, questo libro è un inutile viaggio nella crudeltà umana. Nessun vegetariano si immagina il pollo da allevamento Ercolino cresciuto in lande ampissime, pulitissime e assolate, tirato su a suon di carezze e di parole dolci. Non è necessario indulgere nel dettaglio delle atrocità. Perchè alla fine, mettendo "troppa carne sul fuoco", ci si sente impotenti, e anche a me è passato per la mente che il mio scrupolo morale non è altro che una goccia nel mare. Pensiero subito scacciato, ovviamente. 

"Se niente importa. Perchè mangiamo gli animali?" Jonathan Safran Foer, Guanda
***/5

Abbiamo sempre vissuto nel castello ***


(Le parti selezionate in nero sono spoiler)
Scrittrice tagliente, la Jackson, che riesce con poche parole a creare un'atmosfera quasi tangibile, disturbante nonchè invadente, visto che questa atmosfera diventa il punto saliente dell'intero romanzo.
Tutto è cadente, sporco, in rovina. Sembra di respirare l'odore di chiuso e di immobilità.
Due sorelle vivono da recluse con il vecchio zio disabile nel castello di famiglia. Gli altri familiari sono morti anni prima. A cena, avvelenati. Questo, per darvi l'idea, è l'incipit del romanzo:
Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott'anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l'anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l'Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.
Il romanzo prosegue nella graduale rivelazione dell'inquietante carattere dei tre superstiti e degli avvenimenti di quella famosa cena. Catalizzatore dello stravolgimento che porterà alla crisi finale è l'arrivo al castello del cugino Charles.
Punto debole del romanzo è la penetrazione psicologica dei protagonisti che non riesce incisiva quanto l'atmosfera. Constance rimane bidimensionale e non si capisce perchè copre la sorella, che infine si scopre essere l'avvelenatrice familiare.. Mary Katherine è il personaggio meglio caratterizzato, ma alla luce delle rivelazioni finali non si comprendono del tutto le sue ragioni. Lo zio a parte l'inquietudine che trasmette per la sua mania ossessiva di ricostruire "la" serata non aggiunge molto alla storia. 
"Abbiamo sempre vissuto nel castello" Shirley Jackson,  Adelphi
 ***/5

13 febbraio 2013

Il segno rosso del coraggio ***


Il tema della paura, e quindi, della crescita, affrontato attraverso gli occhi di un giovane che va alla guerra, costretto quindi a disfarsi dei protettivi abiti infantili per vestire quelli dell'adulto. Crane, ventiquattrenne quando scrisse questo breve romanzo, ci mostra come questo passaggio non possa essere indolore. In una spirale di dubbio, terrore, incertezza, il giovane soldato si interroga sulle sue capacità e sulla sua possibilità di sopravvivenza, confrontandosi con la solitudine e il rischio, concreto, della morte. Metafora della vita in generale, il pezzo più bello del libro è senz'altro il finale, quando di fronte alla tanto temuta azione il giovane riesce finalmente a staccarsi dagli spettri angosciosi della sua mente, ad agire, e a sopravvivere.

“Era emerso dalle sue lotte con un'ampia simpatia per la macchina dell'universo. Coi suoi nuovi occhi, riuscì a vedere che i colpi segreti e palesi che venivano assestati per il mondo con tale abbondanza, erano in verità benedizioni. Era una divinità quella che gli stava attorno con il randello della correzione. Il suo irritante vociare contro quelle cose s'era chetato una volta che la tempesta era cessata. Non si sarebbe più rizzato su luoghi elevati e falsi ad accusare i pianeti lontani. Vide che, di fronte al sole, egli era sì minuscolo ma non irrilevante. Nello sconfinato turbinio degli eventi, un granello come lui non sarebbe andato perduto.

Con tale convinzione giunse una carica di fiducia. Sentì in sé una tranquilla virilità, non aggressiva ma di sangue forte e robusto. Capì che non avrebbe più avuto paura dinanzi alle sue guide, ovunque quelle indicassero d'andare. Era stato a contatto della grande morte e aveva scoperto che, dopo tutto, non era che la grande morte, ed era per gli altri. Era un uomo.”
"Il segno rosso del coraggio" Stephen Crane
 ***/5

5 febbraio 2013

Le porte della percezione / Paradiso e Inferno ****


Saggio lineare, questo di Huxley, che va letto così com'è, ovvero come la relazione delle sensazioni dopo l'assunzione di mescalina.
Volendo -forzosamente- ampliare lo spazio di lettura, diventa un testo pericoloso: si può leggere sia un incitamento all'uso delle droghe (soprattutto quando Huxley dice che l'uomo ha necessità di uscire da sé), sia l'idea che le droghe siano l'accesso verso paralleli mistici che solo la cecità del vivere sobri ci impedisce di vedere. Entrambe queste interpretazioni sono state avanzate; il saggio è del '53, e fu naturalmente ampiamente strumentalizzato nelle riforme sociali dei decenni a venire. Huxley era un pioniere, nonché un uomo che si è costruito per addizione, mai per negazione. Va da sé che anche nell'interesse per le droghe sia arrivato un decennio prima del mondo. Il suo saggio coniuga straordinaria lucidità descrittiva, un innato dono narrativo e le osservazioni di un uomo di straordinaria cultura. Molto interessanti i confronti del suo atteggiamento mentale sotto mescalina con le opere d'arte di alcuni grandi artisti e le riflessioni sulla schizofrenia. Inevitabili anche i rimandi alle religioni e alla meditazione.
Il secondo saggio, Paradiso e Inferno, abbandona la dimensione puramente soggettiva del primo saggio per dedicarsi a riflessioni più ampie e meno focalizzate, toccando diversi temi in ambito artistico, antropologico e psicologico. La reazione dell'uomo di fronte alla totalità della visione sotto effetto di droghe può essere infatti sia la breccia verso un mondo paradisiaco, che l'accesso a un mondo infernale: ciò dipende in gran parte dallo stato psicofisico dell'individuo. E' un saggio, in definitiva, meno incisivo del primo. Le appendici sono assai interessanti.

"Le porte della percezione - Paradiso e Inferno" Aldous Huxley 
****/5

25 gennaio 2013

Le porte della percezione

Era buffo, senza dubbio, sentire che "Io" non ero lo stesso di queste braccia e queste gambe "fuori di me", di tutto questo tronco obiettivo e del collo e anche della testa. Era buffo; ma ci si abitua subito. E comunque il corpo sembrava perfettamente in grado di badare a se stesso. In realtà, senza dubbio, esso bada sempre a se stesso. Tutto ciò che l'Io cosciente può fare è di formulare desideri, che vengono poi attuati da forze che esso controlla pochissimo e non comprende affatto. Quando fa qualcosa di più - quando si sforza troppo, per esempio, quando si preoccupa, quando si cruccia circa il futuro - esso riduce l'efficacia di quelle forze e può anche far sì che il corpo privo di vitalità si ammali. Nel mio stato attuale, la consapevolezza non si riferiva a un io; stava, per così dire, per conto suo. Ciò significava che anche l'intelligenza fisiologica che controllava il corpo stava per conto suo.

"Le porte della percezione" Aldous Huxley, trad. Lidia Sautto, Mondadori

25 dicembre 2012

Tragedia in tre atti ***


Un Natale senza qualche bel giallo non è Natale! La Christie è praticamente un appuntamento fisso da giorno rosso, e stavolta è toccato a Tragedia in tre atti.
Mi ha delusa, perchè la storia non mi ha mai coinvolta molto. Di solito passo al vaglio tutte le minuzie che la Christie pare far cadere per caso ma stavolta non mi importava tantissimo e il tentativo di buttare la colpa addosso al giovane Oliver o alla scrittrice bruttina era veramente plateale (e quando, solitamente, nei romanzi della Christie qualcosa è plateale, è automaticamente errato). Poirot ha la funzione del pensionato e non si scomoda ad andarsene in giro, se ne sta seduto in poltrona a tirare le fila per i detective improvvisati: l'attore Cartwright, Hermi e Satter.
L'identità del colpevole mi ha sorpresa ma a pensarci bene sono un po' troppi gli azzardi e le incongruenze: chi è il cretino, per esempio, che dovendo ammazzare qualcuno organizza una prova del delitto, di fronte alle stesse identiche persone che assisteranno al secondo delitto? Come può pensare che stramazzare al suolo dopo aver bevuto un drink possa essere considerato per due volte consecutive una "triste casualità"? Andiamo... E davvero è possibile credere che Cartwright, travestito da cameriere, non venga riconosciuto da nessuno? 
Insomma... una Christie piuttosto deludente.

"Tragedia in tre atti" Agatha Christie ***/5

7 novembre 2012

L'uomo che inventò il denaro **


Ci sono i periodi a tema.... abbandonato, anche questo, per quanto non mi piaccia non finire i libri. Questo in particolare ha una trama che sarebbe interessante, peccato che lo stile non sia per niente narrativo, ricercatezza necessaria sia per rendere la lettura più piacevole che per rendere meno evidenti i numerosi buchi nelle testimonianze che ci sono arrivate sulla vita di Law, che lasciano all'oscuro diversi anni della sua vita. In più lo stile scolastico è anche ridondante e prolisso, il che mette una pietra su qualsiasi curiosità potessi avere sull'inventore moralmente opinabile dell'economia moderna.
"L'uomo che inventò il denaro" Janet Gleeson, Rizzoli


6 novembre 2012

Una particolare specie di tentazione *


Badate bene, il mio giudizio pessimo deriva dal primo centinaio di pagine, perchè proprio non ce l'ho fatta a finirlo. Immagino che sull'onda di "Cinquanta sfumature di grigio" le case editrici abbiano aperto i cassetti mandando alle stampe qualsiasi cosa, minimizzando l'effetto "harmony" con copertine scevre di marcantoni muscolosi e bionde e boccolute donzelle (al loro posto, va forte l'oggettistica: piume, maschere, cravatte & co.).  La protagonista è inconsistente e tracciata talmente male da grondare incongruenze, i dialoghi sono ridicoli e cento pagine per parlare di hockey su ghiaccio e strategie di marketing sono decisamente troppe.
"Una particolare specie di tentazione" Savanna Fox, Sperling & Kupfer
*/5

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