23 maggio 2013

Acido solforico ***


Romain Gary era un prigioniero in un campo tedesco durante la seconda guerra mondiale. Le condizioni di sopravvivenza erano disumane. Nel suo campo maschile , Gary vedeva i detenuti trasformarsi, come lui stesso, in poveri selvaggi, bestie sofferenti. I loro pensieri erano una tragedia peggiore di quello che sopportavano. E il tormento maggiore era di averne piena consapevolezza. Continuamente umiliati in quell'esigua traccia di umanità rimasta loro, l'unica aspirazione era la morte. Fino al giorno in cui uno ebbe un'idea geniale: inventò il personaggio della dama.
Stabilì che da quel momento in poi avrebbero vissuto tutti come se tra di loro ci fosse una dama, una vera dama, alla quale si sarebbero rivolti con tutti gli onori dovuti a una persona di rango elevato al cospetto della quale si teme di scadere. Tutti accettarono questa costruzione fantastica. E cosi fecero. Poco a poco, si resero conto di essere salvi: a forza di vivere nella nobile compagnia della dama immaginaria, avevano ripristinato la civiltà. Durante i pasti ricominciarono a parlare, o meglio a conversare, a dialogare, ad ascoltare gli altri con attenzione. Ci si rivolgeva alla dama con riguardo per raccontarle cose degne di lei. E anche quando si taceva, si coltivava l'abitudine di vivere sotto i suoi occhi, di avere un atteggiamento che non avrebbe offeso un simile sguardo. Quel nuovo fervore non sfuggì ai Kapò che avevano sentito delle voci sulla presenza di una dama, e cominciarono a indagare. Perquisirono il campo da cima a fondo e non trovarono nessuno. Questa vittoria della mente sostenne i prigionieri fino alla fine.
Angosciante romanzo che tratta di diversi temi interessanti, purtroppo nessuno ben approfondito. Sulle fondamenta di un'idea del genere umano decisamente pessimista, la Nothomb pone personaggi che con la pancia vuota dialogano di filosofia e si danno del lei. Come spesso mi capita con la Nothomb, non capisco se questa contraddizione sia voluta o meno. Di base, l'ispirazione del romanzo è l'esperienza di Romain Gary, cui si fa cenno e che ho riportato sopra, solo che in Acido Solforico la dama è reale, è una ragazza di nome Pannonique.
Le chiavi di lettura possono essere tante: la passività, la cattiveria dell'uomo, una critica del sistema televisivo... tutti temi già ampiamente trattati e a cui questo breve romanzo non aggiunge niente. Il punto di riflessione che ho trovato di maggior interesse è lo sforzo cosciente che fa Pannonique per educarsi all'amore e al rispetto. La sua non è una predisposizione innata ma, in un ambiente come un campo di concentramento in cui ci si specchia col lato più bestiale dell'uomo, urgono delle riflessioni sulla spiritualità e su Dio, ed in risposta emerge la necessità di fare personalmente quel che viene considerato divino: amare. Non sempre questo è facile, ed è proprio quando questo sembra impossibile - come con la vecchia - che ci si scontra con i limiti umani e si ha la possibilità di superarli.
La crescita interiore di Pannonique si riflette naturalmente negli altri prigionieri, a cui infonde un senso di serenità, coraggio e dignità. Più in generale, il tema della forma è ricorrente ed importante: l'educazione, la responsabilità personale, la morale, il rispetto - anche in semplici gesti, come il darsi del lei, sono le caratteristiche che ci distinguono dalle bestie.
Tutto ciò è trattato, purtroppo, in modo molto frettoloso; i personaggi stessi, al di là della protagonista, sono macchiette omogenee scarsamente caratterizzate.

"Acido solforico" Amélie Nothomb, trad. M. Capuani
***/5


20 maggio 2013

Inferno ***


Ma che porte in ferro resistenti ai proiettili hanno nei reparti dell'ospedale di Firenze???
(spoiler!) -----------------------
Thriller bizzarro in cui:
-il cattivo sembra non abbia tutti i torti
-l'eroe passa tutto il libro a cercare di ricordare ciò che aveva già capito, quelli che lo accompagnano lo assecondano e lo trattano da Wikipedia umana
-i cattivi si viene a scoprire che sono buoni
-i buoni si viene a scoprire che sono cattivi...
-… ma solo per un attimo, perchè poi sono buoni anche loro...
- ...infatti hanno tutti lo stesso obiettivo ma non lo sanno (parlatevi, prima di cercare d'ammazzarvi) e si impicciano a vicenda per tutto il romanzo salvo diventare amiconi alla fine.
Il finale è tipicamente meyeriano, ovvero, per le menti superiori che non si sono piegate alla lettura di Breaking Dawn, finale eccheccazzo, tutto-sto-casino-per-niente. Perchè, va be', sarò cinica io, ma fra morire di peste e diventare sterile che diamine preferisco di gran lunga la seconda.
Bellissimo spot per l'Italia.

"Inferno" Dan Brown
***/5


4 maggio 2013

Campagna per l'adozione di un Wodehouse abbandonato vicino a "Cinquanta sfumature di grigio"


Ci sono giorni in cui mi autoprescrivo Wodehouse.
Questo libro mi è capitato fra le mani in una libreria in cui avevo chiesto la serie di Jeeves e mi era stato risposto che l'avevano recentemente rimandata indietro perchè non la vendevano ('gnurant...). Invece qualche giorno fa stavo giusto gironzolando per la predetta libreria alla ricerca di qualcosa per tirarmi su l'umore e ho visto un volumetto solitario, questo "La vita è strana, Jeeves", poggiato alla rinfusa (!) a fianco ad una pila di "Cinquanta sfumature di grigio" (!!). Comprare il volumetto è stato più un atto di salvataggio che una scelta vera e propria. Quando a casa mi sono resa conto che erano racconti ci sono rimasta maluccio - ho un vago preconcetto nei confronti dei racconti - e invece devo dire che Wodehouse è Wodehouse e anzi, la forma breve si presta benissimo alle gesta di Bertie e Jeeves, che si basano su strutture sempre simili e ripetizioni degli stereotipi dei personaggi. Una tiratina d'orecchie al traduttore che ha lasciato in inglese il "Milady's boudoir" quando in altre edizioni "Il salottino di Milady" mi sembrava immensamente più faceto.

<...Ma non voglio farle perdere tempo: già che è qui, può dare un'occhiata anche al mio ginocchio>.
<Al suo ginocchio?>.
Io sono favorevolissimo alle ginocchia, ma al momento giusto e nel posto giusto, come si dice, e questo non mi pareva il momento. Lei proseguì imperterrita.
<Che ne pensa di questo ginocchio?>, chiese, sollevando i sette veli.
Be', naturalmente si deve essere cortesi.
<Fantastico!>, dissi.
<Mi creda se le dico che talvolta mi fa molto male>.
<Davvero?>.
<Un dolore lancinante. Va e viene. E le dirò una cosa buffa>.
<Cosa?>, domandai, sentendo di aver bisogno di una bella risata.
<Ultimamente ho sentito lo stesso dolore proprio qui, in fondo alla spina dorsale>.
<Sul serio?>.
<Sì. Come aghi roventi. Vorrei che lo esaminasse>.
<La sua spina dorsale?>.
<Sì>.
Scossi il capo. Nessuno più di me ama un po' di baldoria e di cameratismo bohémien e animare una festa. Ma c'è un limite, e noi Wooster sappiamo dove fermarci.
<Non si può>, dissi austeramente. <Non la spina dorsale. Le ginocchia sì. La spina dorsale, no>.
Sembrò sorpresa.
<Be', devo dire che è uno strano tipo di dottore>.
Io sono piuttosto perspicace, come ho detto prima, e cominciai a capire che doveva esserci una specie di malinteso.


"La vita è strana, Jeeves" P.G. Wodehouse, trad. Tracy Lord, Polillo
4/5

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