8 marzo 2013

Abbiamo sempre vissuto nel castello ***


(Le parti selezionate in nero sono spoiler)
Scrittrice tagliente, la Jackson, che riesce con poche parole a creare un'atmosfera quasi tangibile, disturbante nonchè invadente, visto che questa atmosfera diventa il punto saliente dell'intero romanzo.
Tutto è cadente, sporco, in rovina. Sembra di respirare l'odore di chiuso e di immobilità.
Due sorelle vivono da recluse con il vecchio zio disabile nel castello di famiglia. Gli altri familiari sono morti anni prima. A cena, avvelenati. Questo, per darvi l'idea, è l'incipit del romanzo:
Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott'anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l'anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l'Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.
Il romanzo prosegue nella graduale rivelazione dell'inquietante carattere dei tre superstiti e degli avvenimenti di quella famosa cena. Catalizzatore dello stravolgimento che porterà alla crisi finale è l'arrivo al castello del cugino Charles.
Punto debole del romanzo è la penetrazione psicologica dei protagonisti che non riesce incisiva quanto l'atmosfera. Constance rimane bidimensionale e non si capisce perchè copre la sorella, che infine si scopre essere l'avvelenatrice familiare.. Mary Katherine è il personaggio meglio caratterizzato, ma alla luce delle rivelazioni finali non si comprendono del tutto le sue ragioni. Lo zio a parte l'inquietudine che trasmette per la sua mania ossessiva di ricostruire "la" serata non aggiunge molto alla storia. 
"Abbiamo sempre vissuto nel castello" Shirley Jackson,  Adelphi
 ***/5

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