10 febbraio 2012

"All'ombra delle fanciulle in fiore" - La posterità dell'opera

 Del resto, il tempo che occorre ad un individuo - come occorse a me con quella Sonata - per penetrare un'opera un po' più profonda, è il semplice compendio e come il simbolo degli anni, dei secoli a volte, che trascorrono prima che il pubblico possa amare un capolavoro veramente nuovo. E così, per risparmiarsi le incomprensioni della folla, l'uomo di genio si dice che forse, dal momento che i contemporanei mancano del necessario distacco, le opere scritte per la posterità dovrebbero esser lette solo da quest'ultima, come certi dipinti non si possono giudicare bene osservandoli troppo da vicino. Ma, in realtà, ogni vile precauzione per evitare i falsi giudizi è inutile, essi non sono evitabili. A far sì che difficilmente un'opera geniale sia ammirata con sollecitudine, è la circostanza che chi l'ha scritta è straordinario, che pochi gli assomigliano. Ed è proprio la sua opera che, fecondando i rari spiriti capaci di comprenderla, li farà crescere e moltiplicarsi. Sono stati i quartetti di Beethoven (i quartetti n° 12,13,14,15) a far nascere, a infoltire, in cinquant'anni, il pubblico dei quartetti di Beethoven, realizzando in tal modo, come ogni capolavoro, un progresso, se non nel valore degli artisti, almeno nella società degli spiriti largamente composta oggi di qualcosa ch'era introvabile quando il capolavoro apparve, vale a dire di essere capaci di amarlo. Quella che noi chiamiamo posterità, è la posterità dell'opera. [pg. 126]
"All'ombra delle fanciulle in fiore" Marcel Proust, trad. Giovanni Raboni, Mondadori

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