21 novembre 2011

Le stelle fredde

E' un libro particolare, questo di Piovene, del quale non riesco a dare un giudizio uniforme. 
E' un romanzo, innanzitutto, freddo e lugubre. La parola che ricorre più spesso è, non a caso, morto. Tutto è morto. Il romanzo stesso è un'indagine fra gli aspetti della vita più vicini alla morte. Tuttavia, questa morte, non è intesa come qualcosa di minaccioso o spaventoso, ma è qualcosa di naturale e di certo: in effetti, l'unica cosa innaturale di questa morte così spesso nominata è l'invadenza nei confronti della vita; una presenza così forte e assillante che appare incompatibile con l'ordinario affaccendarsi della vita. Una presenza che diviene addirittura concreta quando si materializza, dal mondo dei morti, Dostoevskji.
L'unica forma di vita ardita, addirittura infestante nella fredda immobilità dell'ambientazione del romanzo, è l'albero. Che infatti viene sradicato.
L'inizio, devo dire, mi è piaciuto. Forse perchè è l'unica scelta attiva che compie il protagonista. Anche la scrittura è più tersa e decisa. Ma è una scelta compiuta col solo scopo di abbandonarsi alla passività e di diventare, in definitiva, morto. Tanto più prosegue il libro tanto più questa passività viene difesa con testardaggine, che sembrerebbe un controsenso. L'arrivo di Dostoevskji è una trovata originale ma si perde in una nube nebulosa e indecisa, e lo stile anche appare sempre più nebuloso. Quando il libro finisce si rimane con un gran senso di incompiutezza, e ci si chiede dov'è finito quel bell'inizio.
"Le stelle fredde" Guido Piovene, Mondadori, 9 € **/5

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