18 marzo 2012

Un uomo


Forse non ero innamorata di te, o non volevo esserlo, forse non ero gelosa di te, o non volevo esserlo, forse m'ero detta un mucchio di verità e di menzogne ma una cosa era certa: ti amavo come non avevo mai amato una creatura al mondo, come non avrei mai amato nessuno. Una volta avevo scritto che l'amore non esiste, che l'amore è un imbroglio: che significa amare? Significava ciò che ora provavo ad immaginarti impietrito, perdio, con lo sguardo di un cane preso a calci perchè ha fatto pipì sul tappeto, perdio! Ti amavo, perdio. Ti amavo al punto di non poter sopportare l'idea di ferirti pur essendo ferita, di tradirti pur essendo tradita, e amandoti amavo i tuoi difetti, le tue colpe, i tuoi errori, le tue bugie, le tue bruttezze, le tue miserie, le tue volgarità, le tue contraddizioni, il tuo corpo con le spalle troppo tonde, le sue braccia troppo corte, le tue mani troppo tozze, le sue unghie strappate.
E certo l'amore non ha per oggetto un corpo, però anche se eravamo separati da un oceano quel corpo io lo portavo a letto con me, nel ricordo lo abbracciavo come quando abitavamo la casa nel bosco, d'inverno, e la notte faceva freddo e ci scaldavamo così, la mia testa contro la tua testa, il mio ventre contro il tuo ventre, le gambe annodate, oppure quando stavamo insieme distesi nella camera di via Kolokotroni l'estate, i pomeriggi erano afosi e ci scostavamo ridendo, via-roba-calda, ma c'era sempre un momento in cui i tuoi occhietti strani, uno più alto e uno più basso, uno più chiuso e uno più aperto, mi ubriacavano di dolcezza, sicchè mi chinavo a baciare le tue palpebre gonfie, mandorle di carne, accarezzare con la punta dell'indice il tuo naso buffo, i tuoi baffi spinosi, le tue labbra increspate da tante rughine, labbra di vecchio dicevi, e strisciandoti il dito sul mento poi sulla mascella poi sullo zigomo risalivo lentissimimamente agli orecchi, perfetti questi, ben disegnati, e tu subivi felice che ti ammirassi almeno gli orecchi: "Che orecchi! Che orecchi!". E forse il tuo carattere non mi piaceva, né il tuo modo di comportarti, però ti amavo di un amore più forte del desiderio, più cieco della gelosia: a tal punto implacabile, a tal punto inguaribile, che ormai non potevo più concepire la vita senza di te. Ne facevi parte quanto il mio respiro, le mie mani, il mio cervello, e rinunciare a te era rinunciare a me stessa, ai miei sogni che erano i tuoi sogni, alle tue illusioni che erano le mie illusioni, alle tue speranze che erano le mie speranze, alla vita! E l'amore esisteva, non era un imbroglio, era piuttosto una malattia, e di tale malattia potevo elencare tutti i segni, i fenomeni. Se parlavo di te con gente che non ti conosceva o alla quale non interessavi, mi affannavo a spiegare quanto tu fossi straordinario e geniale e grande; se passavo dinnanzi a un negozio di cravatte e camicie mi fermavo d'istinto a cercare la cravatta che ti sarebbe piaciuta, la camicia che sarebbe andata d'accordo con una certa giacca; se mangiavo in un ristorante sceglievo senza accorgermene i piatti che tu preferivi e non che io preferivo; se leggevo il giornale notavo sempre la notizia che a te avrebbe interessato di più, la ritagliavo e te la spedivo; se mi svegliavi nel cuore della notte con un desiderio o una telefonata, mi fingevo più desta di un fringuello che canta al mattino. Gettai via la sigaretta con rabbia. Ma un amore simile non era neanche una malattia, era un cancro! (...) V'è una caratteristica lugubre negli ammalati di cancro: appena capiscono che esso ha vinto o sta per vincere, cessano di opporgli farmaci, il bisturi, la volont e si lasciano uccidere con sottomissione, senza maledirlo, neanche rimproverarlo del martirio che esige. Il-mio-male, lo chiamano con affettuosa indulgenza, quasi fosse un amico, un padrone, un possesso di cui non possono fare a meno, e quel "mio" risuona a volte un accento soave: lo stesso che gorgogliava nella mia voce appena pronunciavo il tuo nome. Ecco, a tale stadio ero giunta per non averti estirpato quand'eri un granellino di sabbia, un chicco di riso, e sebbene l'istinto m'avesse avvertito che chiunque entrasse nella tua sfera perdeva la pace per sempre.  [cit.]
"Un uomo" Oriana Fallaci

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