6 dicembre 2011

Gita al faro

Questo libro è un condensato di pensieri in presa diretta dalla testa di un'ansiosa. E' il mio secondo tentativo con la Woolf con esito deludente. Anzi, Mrs Dalloway mi era piaciuto di più: aveva una freddezza quasi chirurgica che Gita al faro, invece, non ha. Ho colto con quest'ultimo in maniera più particolareggiata quello che mi disturba della scrittura della Woolf: ha uno stile che incarna tutti i difetti della scrittura femminile.
La Woolf ha la costruzione artificiosa della Eliot, una specie di sotterraneo “vorrei stupire, e allora scrivo così” che rende lo scritto innaturale, certamente sofisticato, ma nei punti peggiori addirittura forzato (le parentesi quadre nell'ultima parte: Virginia, quanto ti sei spremuta la meningi per quelle parentesi quadre? Non bastava scrivere normalmente?).
Non ha ironia, e pochissime sono le scrittrici donne che ce l'hanno, e non intendo l'ironia maligna, ma un'ironia più leggera (alla Wodehouse, o alla Dickens).
Non c'è una riga, in tutto Gita al faro, di vita concreta, tangibile. Il termine elegante sarebbe intimista, seghe mentali rende meglio l'eccesso.
Non essendoci ironia, tutto è drammatizzato oltre qualsiasi limite razionale, col risultato ultimo di apparire ridicolo: la trama, infatti, non esiste, o meglio: una madre vuole andare in gita al faro, espone l'idea al figlio che ne è entusiasta, ma il padre, a metà fra il colonello Giuliacci e Igor di Frankenstein Junior (potrebbe piovere!), turba irrimediabilmente l'infanzia del suo giovine virgulto annunciando che la gita non si farà, perchè sarà brutto tempo.
L'unica parte che ho apprezzato è il capitoletto “Lo scorrere del tempo”.
L'antitesi di Virginia Woolf è Natalia Ginzburg, col suo stile secco, essenziale, quasi scolastico nella sua semplicità, concreto, mai drammatizzato.
"Gita al faro" Virginia Woolf **/5

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